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In Italia il controllo in materia di appalti pubblici è affidato al solo giudice amministrativo. È un controllo di legittimità che per sua natura prescinde dai risultati conseguiti tramite le procedure di acquisto. Esso verifica il rispetto delle regole della par condicio e della trasparenza in sede di gara, valuta la liceità delle esclusioni e di eventuali clausole di privilegio (per esempio le clausole sociali) e talvolta estende il sindacato ad ambiti più complessi quali la definizione del prodotto oggetto di gara o gli incentivi d'impresa a non interrompere la fornitura. Lasciare il controllo in materia di appalti pubblici al solo giudice amministrativo implica ipotizzare che in materia di appalti pubblici l'obiettivo da perseguire sia esclusivamente l'equità delle procedure. Occorre invece anche garantire che l'Amministrazione ottenga valore in cambio di denaro, ossia che non ci siano sprechi, che gli acquisti siano davvero necessari, che siano della qualità necessaria e che il prezzo pagato sia il più basso possibile. L'obiettivo da raggiungere è incentivare le Amministrazioni a bandire gare meglio strutturate e a fornire alle imprese fornitrici incentivi allineati con obiettivi di efficienza. Per esempio, l'Amministrazione ha ampi margini di discrezionalità nello scegliere la formula di aggiudicazione e i pesi di aggregazione nell'offerta economicamente più vantaggiosa, nel decidere il numero dei lotti da bandire, nello stabilire se e come garantire la qualità delle forniture nei contratti di durata, ecc. Si tratta di questioni molto rilevanti per il successo di una procedura di acquisto, ma sulle quali la capacità del giudice di incidere è nulla. È necessario quindi un cambiamento di impostazione, non più soltanto un controllo sulle procedure, ma una altrettanto attenta valutazione dei risultati conseguiti. Questo è particolarmente necessario per gli acquisiti più complessi che andrebbero limitati alle stazioni appaltanti più grandi che possano avvalersi di economie di scala e di apprendimento.
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